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lunedì 10 febbraio 2020

Semisfere con cuore morbido di cacao al peperoncino

Tutti dovrebbero eleggere il loro esclusivo angolino in questo mondo. Qualunque sia l'età e il vissuto, che si abbia poco o molto poco tempo, nessuno incorra nell'errore di credere che si tratti di sciocchezze e finisca così per privarsi della preziosa risorsa di un luogo intimo ed esclusivo, da costruire nel tempo e di cui prendersi cura senza alcuna fretta.  
Sulla mappa della mia vita, è esattamente davanti al chiarore ramato del forno che ho tracciato il mio approdo tranquillo. Quando mi è concessa una pausa e riesco a tirarmi fuori dalla rapina della corrente, mi abbarbico al legno biondo della mia buffetta come un naufrago felice ad una zattera e, afferrati mestolo e setaccio, remo seguendo compiaciuta l'onda lenta e cadenzata della mia marea. 
In cucina mi trovo anche oggi, sedotta dal cacao e dalle note pungenti del peperoncino, e decido che la magia culinaria stavolta dovrà essere primitiva e sensuale: lascio, quindi, che la mia zattera mi trasporti molto lontano da qui, sulle remote coste del Messico precolombiano. Per gli Indios il seme di cacao era molto più che un semplice alimento: era sacralità e ricchezza, a tal punto da essere utilizzato anche come moneta. 
E' noto che i palati del vecchio continente rimasero annoiati per millenni, vivendo all'oscuro dell'esistenza del cacao; tristemente ignari di una simile bontà, dovettero aspettare la fine del XVI secolo perché il raro seme sbarcasse nelle ricche cucine europee e finisse per ergersi ad unico, indiscusso, sublime conquistador nei buffet de dessert più sontuosi e raffinati. 
Essendo giunti a febbraio, e per di più a pochi giorni dal 14, penso che, in barba al cinismo, il vero anticonformista non scelga di snobbare a priori la festa del celebre vescovo umbro. Onoro, dunque, anche io il mio San Valentino ringraziando per il dono di chi più amo e preparando un'assoluta leccornia: ecco che nella solitudine del suo tempio lo stregone azteco socchiude lo sguardo, inebriandosi di nuvole di cacao.  Per imporporare appena il suo "xocoalt" amaro, in onore di Xochiqueztal, dea della fertilità e dell'amore, lascia cadere un pizzico di polvere rosso amaranto, spezia afrodisiaca per antonomasia, il peperoncino.
Un trillo di timer e una voce di là che, golosa, si informa sui tempi.
Un piattino di ceramica bianca, una spolverata di zucchero a velo e il mio "xocoalt" dolce  a forma di mini zuccotto è pronto per essere sacrificato da un cucchiaino impaziente.
Il retrogusto piccante del peperoncino, ammorbidito dalla delicatezza della cannella e della vaniglia, conferisce la giusta nota di carattere a questo dessert semplice e versatile, da servire ancora caldo perché al primo taglio si prigioni il profumo intenso del cuore cremoso di cioccolato.
Utilizzando stampini dal diametro di 5 cm, le quantità indicate sono sufficienti per circa 14 monoporzioni.
In un pentolino antiaderente mettete insieme a bollire il cioccolato tritato, lo zucchero, il latte e il burro a fiocchi e mescolate di continuo su fiamma media, facendo attenzione che non arrivi a bollore pieno [fig.1].
Una volta sciolti e amalgamati gli ingredienti spegnete la fiamma e aromatizzate aggiungendo la cannella, i semi della bacca di vaniglia, i due cucchiaini di peperoncino. Lasciate raffreddare per almeno 10 minuti.
Nel frattempo imburrate ed infarinate gli stampini [fig.2].
In una terrina setacciate insieme la farina, il lievito e il cacao [fig.3],
quindi unite il composto al cioccolato e lavorate il tutto con la frusta elettrica finché non si sarà ben amalgamato. Aggiungete le uova e continuate a lavorarlo [fig.4].

Versate il composto nei vostri stampini fino ad un centimetro circa dal bordo ed infornate in forno preriscaldato a 160° per 15-20 minuti circa.
Una volta ultimata la cottura, aspettate che gli stampini si raffreddino quanto basta per potere sformare le vostre monoporzioni. 
Spolverate dello zucchero a velo e servite caldo.


mercoledì 7 giugno 2017

Rizogalo

Sotto i petali cremisi dell'oleandro, nel giardino imperlato da una luminosissima luna d'agosto, lei mi raccontava di come sessant'anni prima, nei drammatici anni di guerra, fosse sbocciato il solo grande amore della sua vita e descriveva commossa il giorno in cui aveva salutato la sua Corinto, attraversato il mare e raggiunto il suo giovane amore nella Sicilia degli anni '40. Nella mia fantasia di nipote, i fotogrammi seppiati di quelle memorie si accendevano d'improvviso a colori vividi per l'incredibile dovizia di particolari riferiti dall'appassionata narratrice.
Spesso accadeva che, durante quegli incontri, ascoltandola, assaporassi porzioni in coppetta di bianco rizogalo, preparato dalle sue affusolate mani, fiere e tremanti. 
Ed era subito Grecia.
La mia Grecia.
Affondando avidamente il mio cucchiaino nel cremoso dessert, le chiedevo puntualmente la ricetta che seguivo assorta come si ascolta una storia senza tempo, alchimia di profumi, di gesti lenti e di case non più abitate. 
Non l'annotai mai, la ricetta, raccontando a me stessa che non sarebbe mancata un'altra occasione per incontrarci, un'altra sera per parlare in giardino, sotto il cielo d'agosto, e per lasciarmi coccolare ancora una volta, come quand'ero bambina.
Ma le cose cambiano.
La vita trascorsa si cristallizza in ricordi e da quest'ultimi, dai più autentici, si riceve in eredità nuova linfa per la vita che si rinnova.
Adesso nei pomeriggi di gioco le mie bimbe, golose quanto la loro mamma, capita che mi chiedano di preparare loro il rizogalo, la cui ricetta, che testardamente mi sono sempre rifiutata di annotare, un giorno ho ritrovato per caso tra le pagine di un vecchio quadernone di cucina che nonna Elena ha sempre tenuto con sé; il dono che nel lontano 1945, salutando per l'ultima volta la sua "chorizzi" a Corinto, le fece mamma Paraschevì.
Per la sua versatilità questa densa crema di latte aromatizzata alla vaniglia, con riso e cannella, si inserisce elegantemente in un menù estivo e, al contempo, si apprezza anche come genuina merenda per golosi di tutte le età.
Mettete il latte sul fuoco e, non appena sfiora il bollore, prelevatene una tazzina circa per sciogliervi l'amido di mais e aggiungete il riso al latte in ebollizione; consiglierei la varietà di riso "Roma" perché i chicchi mantengono una struttura molto corposa e rilasciano amido durante la cottura. Ricordate che il riso bollito nel latte avrà tempi di cottura superiori rispetto a quelli indicati sulla confezione.
Nel frattempo, incidete con un coltellino appuntito la bacca di vaniglia, aprite i due lembi e  raschiate con la punta del coltello i semi [fig.1].
A metà cottura del riso aggiungete lo zucchero, l'amido di mais sciolto precedentemente in poco latte, i semi di vaniglia e la bacca stessa e il legnetto di cannella. Qualora, come nel mio caso, abbiate a disposizione pezzetti di legnetto di cannella, contate quanti aggiungerete per aromatizzare il latte, così da poterli facilmente recuperare alla fine della cottura del riso. Potrete sostituire i semi di vaniglia  con una bustina di vanillina o una fialetta di estratto se non gradite esteticamente la loro presenza nella crema bianca.
Ultimata la cottura del riso, spegnete la fiamma e lasciate riposare qualche minuto [fig.2].
Prelevate, infine,  la bacca di vaniglia e la cannella e versate la crema nelle coppette; lasciate che si intiepidiscano [fig.3]
per poi riporle nella zona più fredda del vostro frigo.
Quando la crema si sarà ben raffreddata e addensata spolverate sulla sua superficie la cannella in polvere.